martedì 5 giugno 2012

Maltempo


Era uscito di casa in camicia, senza nemmeno fare colazione o lavarsi la faccia, scapicollandosi giù per le scale senza mai perdere di vista l'orologio, quelle lancette non la smettevano di correre, se riusciva a prendere subito l'autobus faceva a tempo a fermarsi in un qualche bar per un caffé, altrimenti avrebbe dovuto vedere cosa gli riservava la distributrice automatica dell'ufficio. Ma il problema, ora, era di tutt'altra natura. Veniva già una pioggia battente, e lui non aveva tempo per tornare indietro a mettersi una giacca, l'unica cosa che poteva fare era quella di prendere l'ombrello e con quello ripararsi come poteva fino alla pensilina del bus. Arrivò in strada e si vide passare davanti l'autobus, imprecò contro la pioggia e il vento, valutò se rifugiarsi in un bar, andare dritto alla fermata oppure passare dall'edicola per prendere il giornale. Il bar, no, quello era meglio lasciarlo perdere, visto che il prossimo autobus era l'ultimo per arrivare in tempo al lavoro, però il giornale poteva prenderlo, e così arrivò alla pensilina con il giornale sotto braccio e la camicia bagnata e la testa piena di pensieri nefasti, primo fra tutti il pensiero di qualche altro malanno che lo avrebbe costretto a casa per chissà quanti giorni, un'altra giustificazione da fornire al lavoro, altre giornate da passare sdraiato a letto o sul divano senza la minima voglia di alzare un dito o fare qualcosa di piacevole, eccetto dormire o guardare le nuvole in cielo. L'autobus era affollato, tutti avevano fretta, come se la pioggia potesse appesantire i movimenti delle persone e delle macchine e rendere la vita stessa un peso da scrollarsi di dosso prima di restarne schiacciati sotto.
Il resto della giornata passò sotto il segno dell'emicrania e del mal di stomaco, ogni occasione era buona per andare in bagno, liberarsi l'intestino, lavarsi la faccia e darsi un contegno più presentabile. Le ore non passavano mai, guardare lo schermo del pc gli provocava nausea, e anche gli occhi facevano fatica a restare aperti, e allora guardava l'orologio e si convinceva che presto sarebbe stato a casa, tempo di scendere la scalinata e salire in autobus e sarebbe arrivato a casa, si sarebbe rifugiato in camera da letto, la serranda abbassata, forse avrebbe dormito, forse no, ad ogni modo il silenzio, il buio e l'immobilità gli avrebbero fatto bene, presto tutto sarebbe tornato al suo posto, la miglior medicina è il tempo, si ripeteva sempre in questi casi, chiudi gli occhi, riposati, tutto passa, aspetta e vedrai. 

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