martedì 28 febbraio 2012

Diario di un diario


  Renato decise di tenere un diario. Lo aveva visto fare nei film, e gli sembrava una buona idea per avere qualcosa da mostare ai figli quando fosse stato vecchio e demente e senza più nulla d'interessante da dire.   Scelse un bel quaderno con la copertina blu, senza illustrazione né scritte. Una cosa semplice e onesta. Qualcosa che potesse resistere alle mode e ai capricci del tempo e che potesse assomigliare molto a una dichiarazione d'intenti. Aprì il quaderno sulla prima pagina e decise che no, così non andava, perché un diario aveva bisogno di spazio, e così passò alla seconda pagina. Ma nemmeno la seconda pagina gli andò bene, perché lì avrebbe dovuto scriverci l'indice, si disse, non poteva dimenticarsi l'indice. E così decise di passare alla terza pagina. Peccato che la terza pagina mostrasse una macchiolina in alto a destra, quasi la traccia di una zampa di gatto, niente di obbrobrioso se non fosse che un esordio, tanto più quello di un diario da tramandare ai posteri, aveva bisogno di uno spazio, come dire, immacolato. Alla quarta pagina si arrestò, tirò un sospiro di sollievo e scrisse la data, ma subito dopo averla scritta venne colto da un dubbio atroce. Era sicuro che la data con la quale aveva esordito fosse quella giusta?Corse a prendere il quotidiano, verificò la data e tirò un pugno così forte contro la scrivania da provocare la caduta del portapenne. Strappò la pagina e riscrisse la data. Poi si chiese quale formula avrebbe voluto utilizzare, caro diario, il nome della città, una sigla. Optò per la parola OGGI, scritta a caratteri cubitali, seguita da due punti, a capo, trattino. Poi decise che oggi non era il giorno migliore per cominciare e così passò alla pagina successiva, decretando che quella dicitura avrebbe rappresentato il frontespizio del diario, il frontespizio con un titolo semplice, evocativo e un po' infantile.

   OGGI:
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  Quando dieci giorni dopo Renato riprese in mano il diario, si disse che quello che avrebbe dovuto distinguere il suo diario sarebbe dovuta essere la sinteticità. Era primo pomeriggio, e a ripensare a tutto quello che aveva visto o fatto non sapeva da che parte cominciare. Niente di significativo, il solito tran-tran quotidiano, ovvero colazione lavoro pranzo, o meglio: colazione con sottofondo di radio ricerca affannosa dei vestiti un bacio a moglie e figlia autobus ufficio mail ricevute mail da evadere telefonate telefonate telefonate saluti ai colleghi corsa a rotta di collo verso la rosticceria pasta al pesto acqua caffé autobus ufficio. Un po' telegrafico, stilisticamente parlando, poteva migliorare, però cos'altro c'era da aggiungere a una giornata che anche a volerla esaminare sotto tutti i punti di vista non mostrava nulla di nulla di degno di nota? Il giorno dopo ci riprovò, e questa volta decise di unire l'analisi alla sintesi e di concentrarsi su dei singoli momenti della giornata. Pensò al momento del risveglio. Ci pensò per tutto la mattina, finendo per rispondere scempiaggini al telefono ("Non sa dove siamo? Mmm... Vorrei tanto saperlo anch'io...") e passare lunghi momenti davanti alla finestra, le mani in tasca, le spalle curve, gli occhi fissi davanti a sè.  


    

 

Umberto

"Era un po' di tempo che non usciva di casa..."
  Umberto si calò il cappello in testa e scese in strada.
  Era un po' di tempo che non usciva di casa. Preferiva starsene seduto in poltrona a sentire tutti i telegiornali o i documentari che riusciva a trovare, oppure affacciato alla finestra a scrutare il movimento in strada. Qualche volta si preparava un tramezzino, o un'insalata, e tutte le volte apparecchiava la tavola, accendeva la radio e stendeva le gambe davanti a sè sull'unica altra sedia disponibile nella stanza. Alla fine del pasto mangiava un bastoncino di liquirizia, afferrava una rivista di enigmistica e passava tutto il tempo che gli serviva per riuscire a completare il tabellone delle parole crociate. In quei momenti dimenticava tutto di sè e tornava bambino, quando passava i pomeriggi a inventare cruciverba che il giorno dopo sottoponeva agli amici, i quali avevano difficoltà a risolverli e che proprio per questo si vendicavano mettendo in giro la voce che lui fosse malato di una malattia misteriosa e contagiosissima e che l'unico modo per restarne indenni fosse evitarlo.  Ma ora era venuto il momento di uscire, si disse. Le giornate si erano allungate, il cielo era sereno e nemmeno una nuvola sembrava turbare la quiete e la grazia di una primavera precoce e dolcissima.  E poi restarsene chiusi in casa quando persino gli appartamenti vicini erano immersi nel silenzio, no, questo era intollerabile.