giovedì 12 gennaio 2012

Persuasione

Imparai a esercitarlo presto, molto presto, quello  che papà definiva il mio potere di persuasione fisica, in un epoca in cui il bene e il male per me corrispondevano alla soddisfazione più o meno immediata dei miei capricci. Avevo tre anni, o forse anche meno, ma ricordo tutto con estrema precisione. Per cominciare ricordo un grosso cane dal muso giallastro. Ricordo il suo alito fetido, gli occhi stanchi e una coda lunga e spessa che mi spazzava la faccia avanti e indietro.
 Mamma mi teneva per la mano, papà leggeva un giornale.
 Eravamo in coda. Perché fossimo in coda non saprei dirlo. Aspettavamo. Ci guardavamo negli occhi e aspettavamo. Aspettavamo il nostro turno, controllavamo l’ora e sbuffavamo. Anch’io sbuffavo. Guardavo mamma e papà gonfiare le guance e spettinare i capelli di chi gli stava davanti e anch’io presi a fare lo stesso, con la differenza che davanti a me non c’era nessuno della mia altezza eccetto quella maledetta coda sporca che a intervalli di quattro, cinque secondi mi spazzava la faccia, impedendomi di sbuffare e dire alcunché ai miei genitori. Sulle prime non dissi niente. Mi limitai a fare un passo indietro e lasciarmi sventolare da quella coda maleodorante. Era estate e un po’ di ventilazione era piacevole. Però ogni due passi indietro che facevo io, ne bastava mezzo del padrone di quel cane per ritrovarmi la sua coda sul naso. Strattonai mamma, e lei mi disse non seccarmi. Strattonai papà, e lui mi scompigliò i capelli e mi porse il suo cellulare dicendomi tieni, gioca. Non mi restava che sbrigarmela da sola. E così feci un passo indietro. E ancora uno. E ancora uno. Finché andai a sbattere contro il ginocchio di una vecchia. Uno schiaffo in testa, mamma che mi tira da una parte, papà dall’altra, io urlo, chiudo gli occhi per urlare ancora più forte, una mano mi tappa la bocca, apro gli occhi e vedo che è la mano di papà, che con una mano mi ammutolisce e con l’altra mi blandisce offrendomi un lecca-lecca, che io scarto e comincio a leccare, una, due volte, e poi basta, perché la coda del cane lo spazza via, ai piedi di papà, mi sento in bocca i peli del cane, sanno di piscio e tabacco, voglio urlare, lo voglio fare, sto per farlo, apro la bocca, vedo la coda sciabolarmi davanti, chiudo la bocca e stringo forte e il piacere che provo a stringere tra i denti la coda tabaccosa e pisciolenta di quel cane è un piacere nuovo per me, un piacere illimitato, che non finisce, nemmeno quando mamma e papà mi aprono la bocca e mi tirano via e portano fuori dall’ufficio, nemmeno quando mamma mi prende a schiaffi sul collo e papà mi chiude in macchina, nemmeno quando è notte e tutto è silenzio e io guardo la sveglia pensando che domani vado a fare il dog-sitter per una famiglia di milanesi in vacanza qui a B.

I migliori racconti - N. 1 - Bartleby (Melville)

Per me, in questo racconto, c'è tutto quello che serve per rendere una storia unica e indimenticabile.
C'è il comico - un enigmatico cialtrone che non ne vuol sapere di ubbidire al capo.
C'è il tragico - la solitudine di un uomo che non riesce a stabilire un contatto con il mondo esterno.
C'è la Storia - il lavoro che aliena e che ci rende stranieri gli uni con gli altri.
C'è la pietas - l'empatia del capo verso un dipendente strambo e mite come nessuno.
C'è la follia - nessuno dei personaggi è tipicamente sano e normale.
C'è la grazia - riuscire a intuire qualcosa su quello che è un essere umano come solo poche volte prima ci è capitato.
E c'è anche molto altro che ora non ricordo e che mi spinge a continuare a leggerlo e rileggerlo anno dopo anno.

I migliori raccoti - N.2 - Il trasloco (H. Lange)



Ogni due, tre mesi lo prendo e lo rileggo. Non lo faccio per culto o devozione nei confronti dello scrittore, e nemmeno per vezzo o capriccio da arrembante scrittore in erba. Lo faccio per un motivo molto più banale: ficco il naso, letteralmente, nella mia libreria; cerco un librro da leggere, e - zac! - l'occhio, letteralmente, mi cade su Leptis Magna: sfoglio le prime pagine del racconto "Il trasloco", poi mi siedo e comincio la lettura, e vado avanti finché qualcuno o qualcosa non mi interrompe; e a quel punto, senza mollare il libro, faccio quello che devo fare e mi ripeto che no, non è possibile, la conosco a memoria quella storia, cosa la leggo a fare. Eppure succede. Quando torno al libro, torno al punto dov'ero rimasto e proseguo fino alla fine e anche dopo che ho finito continuo a dirmi: questa storia non è una storia come tante. C'è qualcosa di folle e stregonesco. Irresistibile.

lunedì 9 gennaio 2012

Quante volte

Quante volte ti è capitato di pensare all'ultimo giorno come a un organismo senza più corpo ma ancora in procinto di nascere per un'altra, ennesima volta? E quante volte ti sei detto che forse è meglio così, meglio che sia finita, insomma, perché sono più le cose che non ti sono piaciute e che vorresti cambiare di quelle che hai amato e che non vorresti perdere?

Cosa ricorderai di questo 2011? Tante, troppe cose, pensi. Come proposito per il nuovo anno è sempre bene dimenticare molto e ricordare poco. Ma due, tre cose voglio portarmele nell'anno nuovo, pensi. Prima di tutto l'immagine di mia figlia che impara a camminare, prima pochi passi incerti, poi delle brevi corsette da un divano all'altro, infine tutto il corridoio a braccia larghe e calzettoni arrotolati, con la lingua di fuori e le gambe che si schiantano a terra quando proprio non ce la fa più, le manine tese verso l'alto a chiedere aiuto. Poi vorrei portarmi dietro i libri che mi hanno saputo emozionare, su tutti direi S. di Gipi e Piazza d'Italia di Tabucchi, ce ne sarebbero altri ma lambiccarmi il cervello non mi va e così ne dico solo due. Poi vorrei portarmi dietro una gita a Borgotaro, il prato sul quale ci siamo sdraiati tutti e tre, il sole in faccia e lo sciabordio del fiume più in basso, di nuovo bambini, tre bambini a giocare con i fili d'erba e pensare in questo posto vorrei passarci ogni ora libera dal lavoro.