mercoledì 30 maggio 2012

Ora

Ora la salute va meglio, e così anche per la moglie e la bambina, la prima ha solo un po' di tosse, la seconda è tornata all'asilo, in compenso il cielo è magnifico e la temperatura comincia a salire, le camicie è meglio portarle a maniche corte, il libro che legge da un mese ancora non è finito, manca poco, una trentina di pagine, oggi potrebbe essere il giorno buono per riporlo nello scaffale e sceglierne un altro, il tempo per leggere è sempre così poco, il tempo di salire e scendere dal bus e la pausa pranzo, se poi ci mettiamo la lettura del giornale, che gli porta via almeno mezz'ora, il calcolo è presto fatto, tempo ne resta pochissimo, venti minuti nei giorni peggiori, quaranta in quelli più fortunati. Ora è al lavoro, ancora un'ora e si fionderà in città per sbrigare alcune faccende che spera non lo impegnino troppo, cose come la consegna del 730 e la richiesta di un certificato ISEE da portare all'asilo, se tutto va bene potrà andare al parco e sedersi dieci minuti a leggere il romanzo di Yehoshua, un intervallo di tempo che potrebbe durare di più, se non fosse che a casa lo aspettano la moglie e la bambina, la prima ossessionata dal proprio peso e la seconda dalla scoperta di un mondo che sembra non smettere mai di riservarle sorprese, tornare a casa è bello, insomma, quando arriva il momento di entrare e si sente la bimba abbracciarti le gambe e baciare lo zaino e la moglie baciarti sulle labbra e dirti che è tutto pronto, non senti che profumino?   

Esercizio di superamento della morte: forever young

"Quei libri decise di lasciarli lì dov'erano..."

Dal giorno in cui seppe della sua morte, non si diede per vinto: i libri che aveva comprato e non ancora letto, i libri di quello che riteneva il suo scrittore italiano del cuore, quei libri decise di lasciarli lì dov'erano, una sbirciatina di tanto in tanto era più che sufficiente per continuare ad alimentare l'illusione che lo scrittore, almeno quello, sarebbe sopravvissuto alla morte, quella maledetta, la Grande Intrusa,  che aveva sorpreso tutti, perlomeno quelli che come lui non avevano avuto il piacere di conoscerlo e che continuavano a cercare sue notizie nelle pagine culturali dei giornali e tra gli scaffali delle novità delle librerie e che non potevano rassegnarsi a quelle pagine commemorative con le quali scrittori e giornalisti lo liquidavano per sempre, senza sapere che in realtà, lo scrittore, sarebbe sopravvissuto a qualunque funerale, coccodrillo e commemorazione, perché le storie nascono ogni volta che qualcuno decide di leggerle, e quanto a morire, no, non muoiono mai, al massimo vanno in letargo, giusto il tempo per mantenerle giovani per sempre. 

About Philip Roth

 
"Quando è cominciata la mia storia con Philip Roth..."

Sono un po' di giorni che adocchio i libri di Philip Roth che riposano nella mia libreria in attesa di venire scelti e letti. E così questa mattina mi sono chiesto quando è cominciata la mia storia con Philip Roth. Vediamo. Ho scoperto l'esistenza di uno scrittore chiamato Philip Roth ai tempi dei primi anni di università. Era stata la copertina ad attrarmi - il disegno pop e anche un po' kitsch di un seno -, e il titolo: lamento di portnoy. Lessi le prime righe, e subito decisi di acquistarlo. Poi uscii dalla libreria e continuai a leggerlo alla fermata del bus, e poi a casa, prima di cena e dopo cena (fosse per me avrei continuato a leggerlo anche durante la cena, ma in quei giorni ero tornato dai miei genitori e non credo che a loro sarebbe andata a genio l'idea di cenare in compagnia di un libro), e così i giorni a seguire, finendo per sentirmi talmente affine con il personaggio di Portnoy da chiedermi se nella mia famiglia, da qualche parte remota nel nostro sperduto e sommerso albero genealogico, ci fosse qualche goccia di sangue ebreo. Che io sappia no, e dato che indagare sul passato della mia famiglia non è mai stata un' avventura nella quale volessi andarmi a cacciare, ho smesso di pensarci e ho continuato a leggere il libro fino all'ultima pagina, chiedendomi, mano a mano che le pagine scorrevano e la parola fine s'approssimava, quale sarebbe stato il prossimo libro di Pihilip Roth che avrei potuto leggere. Avevo sentito parlare molto bene di "Pastorale Americana" e così deciso di acquistarlo, ma il libro finì dritto dritto nello scaffale della mia libreria e non lo ripresi più in mano per molti anni - e il motivo è presto detto: nelle letture sono un poligamo alla massima potenza, so essere fedele a uno scrittore per uno, due libri, dopo di che la curiosità di andare a ficcare il naso dentro qualche altro scrittore è più forte di me, e così abbandono lo scrittore appena letto con la promessa di tornarci quanto prima, appena finito di scoprire quest'altro scrittore, e forse anche quell'altro, ecc. Insomma, gli anni sono passati, l'università l'ho finita, e quando decido di tornare su "Pastorale Americana" ne leggo le prime 30 pagine e lo ripongo con la promessa che presto ci sarei tornato, quando fosse stato il suo momento, perché si sa, ogni libro non è mai lo stesso, cambia, a seconda del lettore e, soprattutto, del momento nel quale il lettore decide di leggerlo. Più o meno in quello stesso periodo decido di andarmi a leggere un libro smilzo e agile di Philip Roth, con una copertina piuttosto simile a quella del "Lamento di Portnoy", ancora una volta un seno, questa volta ritratto in fotografia, questa volta meno colorato e divertito e decisamente dai toni più drammatici, insomma, un buon viatico per un romanzo di Philip Roth, tanto più che anche questa volta, fin dalle prime pagine, sentii che la storia mi bruciava i polpastrelli e le pagine volavano via una dopo l'altra con una velocità sorprendente. Il titolo, al quale non feci molto caso, era "L'animale morente", uno dei pochi romanzi che abbia letto due volte nel giro di uno stesso anno, la prima volta per sapere com'era, la seconda per capire in che modo era quello che era. La seconda lettura si rivelò più entusiasmante della prima, e con quella prosa nelle orecchie scrissi un racconto di cui andai fiero e che piacque enormemente a un editore, e forse fu per quello che da allora non ho più letto nulla di Philip Roth che riuscisse a piacermi tanto, e sì che ho letto "Everyman" e "Il seno" (eccolo, ancora una volta, il seno, in copertina e nel titolo e nelle vesti del protagonista del racconto) e, ancora una volta, più o meno con gli stessi risultati della prima lettura, "Pastorale americana". Bene, ora credo che sia tornato per me il momento di prendere in mano uno dei libri che sonnecchiano nella mia libreria, e da lì ripartire il viaggio allucinante dentro l'universo dello scrittore che più di ogni altro riesce a farmi venire voglia di finire presto di lavorare o mangiare o fare alcunché non mi permetta di sedermi da qualche parte a leggere senza pensare ad altro che a vedere come va a finire.  

martedì 29 maggio 2012

Sensi di colpa

Anche peggio. Per esempio: come spiegare il fatto che nel giro di una settimana avesse deciso di comprare un biglietto per Nairobi, annullarlo, comprarne uno per Milano, prenotare l'albergo, scegliere un volo per Madrid, riconciliarsi con la moglie, passare più tempo a leggere il giornale, meno a leggere libri, scrivere con la solita incostanza, ammalarsi e guarire e lasciare perdere i vecchi sogni di gloria legati a un concorso per il quale studiava da due anni, e in tutto questo viavai di decisioni prese e abbandonate non s'era mai sentito, nemmeno una volta, in colpa per la scelta che, in quel momento, gli sembrava la migliore per sè. C'erano stati giorni in cui il solo pensiero di compiere un gesto come comprare un biglietto aereo o prenotare un albergo, potevano atterrirlo e impedirgli di fare alcunché, eccetto fissare lo schermo del pc, gli occhi sbarrati, chiedendosi cosa fare  e perché e quando. E c'erano stati altri giorni in cui ogni decisione presa che potesse in qualche modo modificare il corso della propria vita - il che significa anche prendere un autobus o sedersi su una panchina - poteva finire per diventare un pensiero fisso che lo arrovellava per il resto della giornata. Ora non era più così, e forse era un bene, anche se il pensiero di un cambiamento simile non gli faceva dormire sonni tranquilli, tutt'altro.