mercoledì 20 giugno 2012

La morte di Carlos Gardel

La sensazione è quella di trovarsi in mezzo a una piazza spazzata dal vento, una sterminata piazza nella quale succede di tutto, c'è un gran trambusto, stormire di fronde, rumore di passi, clacson e voci che si sovrappongono, molte voci, alcune in presa diretta, altre che appartegono a un passato più o meno remoto, e poi un affastellarsi continuo di oggetti davanti agli occhi dei protagonisti - oggetti più o meno comuni, come il mazzo di carte del nonno o il rumore degli alberi fuori dalla finestra o la boccetta di profumo del padre di Alvaro -, e oltre agli oggetti ci sono i pensieri dei personaggi, pensieri sempre in balia degli eventi, e quindi, proprio per questo, un ininterrotto andirivieni  di ricordi sensazioni desideri rimpianti, impossibile volerli trattenere, nulla in questo libro puoi trattenere e ingabbiare, tanto meno la voce dei protagonisti, perché si tratta di un libro in cui sono tutti protagonisti e nessuno è comprimario, sì, qualcuno più presente degli altri c'è, ma nulla di rilevante, ed è proprio questo a rendere questo libro una sorta di fantasmagoria perenne, il fatto di scaraventare il lettore dentro un turbinio di storie che definire romanzo appare una forzatura, anche dopo averne letto un centinaio di pagine la sensazione è quella di trovarsi tra le mani  una pirotecnia narrativa che comincia con un nano che parla di calcio per proseguire con un vecchio alla prese con il rimorso e con un uomo che commette gli stessi errori che il padre aveva commesso con lui. Voltare pagina è un azzardo, come ritrovarsi sul ciglio di un burrone e lasciarsi scivolare giù: la corsa può durare minuti, oppure ore, il bello è che la corsa non è mai in verticale, da un punto A al punto B, vita morte e miracoli di taldeitali, ma in orizzontale, come un vortice gentile che ti prende e ti fa viaggiare a lungo con sè. 

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