mercoledì 4 luglio 2012

Knock-out


Soriano bada al sodo. Destro, sinistro, destro, sinistro, dritto: knock-out! Cortazar diceva che i racconti vincono al knock-out, e come è vero, mi dico, ogni volta che mi imbatto in qualche scrittore che sa far viaggiare le storie sui binari della rapidità e incisività, pochi per la verità, per questo è sempre bene tornare a chi, il racconto moderno, lo ha inventato, ossia Kafka, Hemingway e Borges, la triade che è andata a lezione dei padri fondatori del racconto classico (Cechov, Gogol, Maupassant e Hoffmann) e ha saputo ripartire da dove la lezione era stata interrotta. Dopo H.B.K. il racconto ha continuato la sua storia vivendo di alterne fortune,  condizionato dall'editoria e dal pubblico del posto, basti pensare agli Stati Uniti o a molti paesi latino-americani, dove il racconto non ha mai sofferto del  complesso di inferiorità nei confronti del romanzo, mentre altrove, per esempio in Italia, nonostante una tradizione di primissimo livello (da Boccaccio a Buzzati, passando per Pirandello, Pavese e Fenoglio), un libro di racconti viene sempre vissuto come un oggetto anomalo, inclassificabile, inattuale e, quindi, ai limiti dell'incomprensibile. Questo per dire che leggere Soriano fa bene, perché Soriano ti porta sul ring e l'incontro finisce prima ancora che tu possa rendertene conto. Saranno i dialoghi al fulmicotone, la rapidità con la quale passa da una scena all'altra, gli attacchi che ti lasciano senza fiato ("Hai degli infiltrati", disse il commissario. "Degli infiltrati? Qui lavora soltanto Mateo e sono ventiquattro anni che è nella delegazione" "E' un infiltrato. Dammi retta, Ignacio, sbattilo fuori perché ci saranno casini.") e dai quali non puoi sottrarti, sarà tutto questo e molto altro (poca psicologia, sarebbe piaciuto a Kafka, e una capacità di mostrare solo lo stretto necessario, come predicava Hemingway), ma leggere Soriano fa bene per capire cos'è un racconto  e in che modo uno scrittore possa riuscire a dare il meglio di sè con quella che è la creatura letteraria più anomala che esista, il cosiddetto racconto lungo, che solo in rari casi riesce a mantenere tutte le qualità tipiche del racconto senza snaturarsi o perdersi per strada. In "Quartieri d'inverno" c'è   maestria, sfrontatezza, prepotenza e levità Ogni capitolo è uno scatto repentino, una freccia scagliata in cielo, un salto in alto: il mio preferito è il capitolo tredici, perché lì Soriano riesce a fondere comicità e struggimento in una cosa sola, un capitolo che si potrebbe isolare e inserire in una ipotetica "antologia del racconto d'amore folle".

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