martedì 15 ottobre 2013

I romanzi che sconfinano


In principio erano i romanzi a piacergli, solo i romanzi, meglio se lunghi, meglio se talmente complessi da perdercisi dentro, ancora meglio se poderosi nella struttura e nelle ambizioni. Poi vennero i racconti. Brevi, brevissimi, fulminei. Da leggere e rileggere, fino a conoscerli a memoria e poter annunciare a tutti che sì, il racconto, è la massima forma narrativa esistente. Poi ci fu il tempo dei romanzi ibridi, né romanzi né racconti, quelli che da qualunque parti li prendi non riesci a venirne a capo, perché un capo non ce l'hanno, perché sono inafferrabili e inclassificabili, sono i romanzi del XX secolo che hanno sfondato i confini e si sono presi il XXI secolo in anticipo, parliamo di "Underworld"(1997), "Detective selvaggi" (1998), "La controvita" (1986), "Canti del Caos" (2001-2009), i romanzi che hanno mandato in frantumi il romanzo classico borghese del XIX secolo per prendere su di sè tutto il meglio e il peggio del XX secolo (guerre, nascita e fine delle ideologie, boom economico e recessione, nascita e sviluppo delle tecnologie multimediali come tv, cinema e internet) e farlo riecheggiare nelle proprie pagine. Questi romanzi hanno forse un protagonista? No. Sono ambientati in un epoca e in un luogo determinati? No. Hanno un inizio e una fine? No. Sono libri zeppi di storie addensate e aggrovigliate tra loro da un nucleo rovente che tu, lettore, puoi solo percepire nel corso della lettura senza mai poterlo identificare in qualche modo. 
Qui sta il nocciolo della riflessione: dovrebbe essere vietato, oggi, scrivere romanzi secondo i vecchi canoni del romanzo borghese del XIX secolo! 

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